zoo de roma
"te spiego n'attimo come funziona."
[2] "te spiego n'attimo come funziona."
scesi dal sellino, a san lorenzo, sciotto mi spalleggiava complice mostrandomi impaziente miriadi di giallognoli semini, sapientemente imbustati nel cellofan, che gli facevano furtivamente capolino dalla tasca degli sformati jeans rotti. la corsa mi aveva un pò spossato così lo autorizzai a cominciare la semina anche in solitudine, se preferiva. lui mi occhieggiò stranito, dal momento che non avevo corrisposto il suo entusiasmo, mentre io mi accingevo a spalancare le braccia al vento e ad accogliere una festante susi tra di esse. "manu!" strillarono dal balcone. dopo aver ricevuto un paio di frettolose carezze lo snello segugio mi congedò con un'umida ed appiccicaticcia leccata dirigendosi, lingua a penzoloni, a grondare bava sul gonfio e calloso pollicione di mario, detto uccio. questi era tempestosamente sceso in strada in mutande, con il grosso pancione birroso di fuori e la carne tutta unta dal sudore, con il solo intento di acciuffarmi per la maglietta e trascinarmi con sè fin sull'umido pianerottolo della diroccata palazzina popolare in cui alloggiavamo. "muovi quel maledetto culo, manu!" imprecava, allentando finalmente la sua incredibilmente salda presa. la scardinata porta rotta delimitava l'ingresso dell'abituale e malconcio salotto di sempre, privo di qualsivoglia arredo o quadro. mancava anche l'intonaco, in verità. "ma che te scureggia er cervello?" sciotto ci aveva raggiunto. mario, fuori di sè, mi sbattè uno straccio di carta sgualcita e bagnata nel palmo. doveva esserselo passato tra le mani infinite volte, in attesa del nostro ritorno. lisciai, infine, il foglio e ci buttai gli occhi sù. solo un paio di righe, tracciate con una grafia stretta e frettolosa, riempivano la superficie. sciotto si sollevò in punta di piedi, sbirciando il messaggio alle mie spalle. "mo te parto de capoccia!" sbottò in uno sfrenato dialetto romano "tutto stò casino per stà minchiata? ma vaffanculo te, e chi nun te lo dice co' a mano arzata!" concluse rabbioso. mario smise immediatamente di misurare a grandi e nervosi passi la minuscola stanza, sollevando il gonfio volto sbarbato, per scrutarmi ansioso. "davvero" mi feci strada esitante "è tutto qui?" lui annuì serio, schiacciandosi il palmo della mano grassoccia sulla fronte madida. io mi strinsi nelle spalle, esprimendo agli altri la mia impotenza, dopodichè stracciai la fradicia pergamena e la gettai all'aria, oltre la finestra. d'un tratto avvertii la testa troppo pesante, così la reclinai all'indietro. mentre incastravo i gomiti spigolosi e screpolati sul davanzale, profondamente immerso nei miei incubi, udii mario recarsi verso la misera cucina ed abbandonare la propria consistente mole su di una scricchiolante seggiolina, stremato dall'eccessiva agitazione, con ancora il fiato corto e le innumerevoli goccioline, che gli colavano lente dal grasso, infangare il polveroso pavimento color mattone. nel frattempo sciotto estraeva circospetto l'erba dalle tasche e vagava frettoloso in cerca di vasi, terriccio e cucchiai da minestra lungo tutto l'appartamento.