zoo de roma
"gesù cristo dorme sopra una panchina in zona mia."
[7] "gesù cristo dorme sopra una panchina in zona mia."
il boia incappucciato con la scure mieteva l’aria pesante a falciate, durante il mio deja-vu di pillole buttate giù in mezzo bicchiere di rum. raccolsi rapidamente i numerosi germogli sfuggiti dalle dita e li spedii prepotentemente sotto terra, con un ben assestato colpo di paletta. l’ennesimo trip dell’orrore. lisa si muoveva strisciando circospetta a terra, in una ridicola imitazione di un lombrico, cingendomi ossessivamente le braccia attorno alla vita ed appellandomi con uno strascicato “secco” ogni due per tre, troppo fatta per essere vera. sciolsi accortamente il suo bellicoso abbraccio, facendola sgusciare via da me a mò di anguilla. “eh, manu” le dita aguzze, che mi tamburellavano puntigliosamente la schiena ad intermittenza, esigevano sfacciatamente roba a credito una volta di più, alchè, acchiappai prontamente sciotto per le gracili spalle sbucciate, reclamando delucidazioni. venni a sapere delle pompe che lisa tirava loro in cambio di droga, così, sopraffatto dalla sconcertante visione di quella lucida bocca morbida, che alleviava pulsioni da miriadi di punte turgide, “manco se te spari” sancii. una stizzita occhiata mi giunse in risposta, con la consapevolezza che strafogarsi di stupefacenti non reggeva il confronto con i bocchini di una qualsiasi puttana. la certezza del loro appoggio pervenì quella sera, quando, svaccato sul lercio divano spruzzato di vomito, intento a ciucciare liquore stantio da cosce di bottiglie sbeccate, con le facce inamidate dei politici in diretta tv sullo schermo a tenermi compagnia, lisa mi raggiunse lemme lemme, scavandosi un microscopico giaciglio sul bracciolo che stringevo. con l’aria sbandata di chi non capisce quel che le stà accadendo attorno, tentò inutilmente di elemosinarmi una dose, incassando un secco “no” come replica, prendendo, pertanto, a rigirarsi ininterrottamente la mia mano tra le dita nervose, in cerca di soluzioni alternative. le giunsi in aiuto, rimpolpando la mia risposta: “fammi un pompino come pagamento”. la sua faccia interdetta divenne l’inequivocabile riflesso degli squallidi sotterfugi smascherati, ritortosi inaspettatamente contro la propria mente ideatrice. mentre accanite ingiurie femminili le ronzavano assiduamente nel cervello, dichiarandomi ufficialmente guerra al grido di “stronzo, stronzo”, le sue longilinee mani flettevano attorno alla mia cinta sciupata, sganciandomela, e le sue unghie pungenti si insinuavano fuggevolmente oltre l’elastico delle mutande, calandomele al suolo. tra grotteschi giochi di luci ed ombre, spiccava inerte la protuberanza irsuta del mio uccello molle, attorniato da smilze dita abili, piacevolmente attorcigliate attorno ai testicoli, che mi scivolavano ripetutamente tra le grinze, striandomi la carne ad ogni lieve carezza. incastrai morbosamente gli occhi tra i minuscoli dossi compatti, che le solcavano il petto, osservandoli straripare oltre l’elastico della maglietta, per via dell’eccessivo sforzo in atto, mentre roventi nubi di fumo inconsistenti si abbattevano violente contro la conca del mio inguine nudo, incendiandomelo di passione. dure come la pietra, le mie forme ritte, strizzate tra le sue labbra gommose, lubrificate dalla saliva, sondavano gengive, sfregiandosi contro le punte aguzze dei denti, presero a giocare all’avvitamento con la sua lingua elastica, tra singulti risucchi, colpi di tosse e gutturali sbuffi. la verga stuzzicata zampillò sborra a fiotti, schizzandole in gola con furore, quasi si trattasse di denso sciroppo per la tosse, lei ingollò la razione in un sol sorso, staccando la bocca dal mio uccello fradicio con un leggero “plop”. ancora un misero pizzicotto sulla mia guancia sporca, poi agguantò fulminea la sua cartina come se nulla fosse stato.