Notte di rabbia alba di perdono
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Disclaimer:
I do not own the movie(s) this fanfiction is written for, nor any of the characters from it. I do not make any money from the writing of this story.
Notte di rabbia alba di perdono
NOTTE DI RABBIA
ALBA DI PERDONO
“Per gli Dei Achille, adesso smettila…”
Achille si voltò verso l’uomo che aveva parlato guardandolo interrogativamente.
“Sebbene tu sia il solo Re greco al quale io dia ascolto ti sconsiglio di usare questo tono con me, amico mio!”
“Stai agendo come un folle Achille… io ti conosco, conosco il tuo carattere, e non ti ho mai visto comportarti in questo modo!”
“Di cosa stai parlando Ulisse?”
Achille sapeva che il signore di Itaca non si stava affatto riferendo alla sua decisione di non combattere fino a che Agamennone non si fosse mosso dalla sua tenda color porpora per implorarlo di riprendere le armi.
“Di Patroclo, e di che altro? Quale altra creatura ha mai avuto il potere di ridurti in questo stato?”
Patroclo, il suo giovane cugino, l’unico guerriero che non avrebbe mai voluto vedere sulla spiaggia di Troia.
Ftia, Ftia dalle verdi zolle, quello era il luogo per Patroclo, non un campo di battaglia, non l’orrore di una guerra.
Una creatura come lui doveva vedere solo bellezza non distruzione. Troppo innocente, troppo puro per la brutalità del mondo… troppo giovane.
“Achille tutto questo è ridicolo… ti ho visto con lui, a Ftia mentre lo allenavi o mentre passeggiavate insieme a tua madre e ti ho visto qui, mentre cerchi di proteggerlo, mentre lo hai fatto restare sulla nave mentre tu scendevi per primo su queste sponde e per primo le macchiavi con il sangue dei suoi guerrieri. Ti ho visto impossibilitato a combattere quando ti preoccupi per lui, e questa è stata la prima volta che il figlio di Peleo mi è sembrato umano, veramente e completamente!”
“Dì quello che devi dire Odisseo e poi lasciami, non sono più sicuro che la tua compagnia mi sia gradita oggi!”
“Liberati dei tuoi demoni Achille, fallo tuo…al riparo della tua tenda, intrattenendoti con lui in dolci giochi d’amore, o con la forza, su questa spiaggia, ma prendilo… poni fine al tuo tormento!”
Achille lo guardò come se improvvisamente non riconoscesse più l’uomo che aveva chiamato amico.
“Mi stai forse proponendo di usare violenza su di lui? Per chi mi hai preso Ulisse, pensavo mi conoscessi abbastanza per saper che…”
“Che se continuerai a negare ancora a lungo quello che veramente desideri non avrai altra scelta che fargli del male… e poi amico mio… una violenza? Quanto vera sarebbe? Probabilmente avrebbe paura i primi istanti, ma quale vergine non teme e allo stesso tempo attende un momento che è inevitabile?”
“TACI… taci e allontanati da queste tende Ulisse, la tua presenza non è più benaccetta!”
“Ti desidera anche lui Achille, solo non sa che cosa fare… in questi casi ci si aspetta che sia l’amante a sedurre l’amato, ci si aspetta che sia il più grande a guidare il più giovane in qualcosa che uno non conosce ancora, e in cui l’altro è già maestro!”
“Ti ho detto di andartene Ulisse… torna da Agamennone… usa con lui i tuoi giochi, me non osare avvicinarti a me o a…”
“Se tu non lo vuoi Achille, qualcun altro lo avrà al tuo posto… a qualcun altro spetterà il compito di istruirlo nell’amore… è una creatura troppo bella perché ciò non accada, sarebbe un’imperdonabile offesa a Venere lasciarlo intatto… non è un sacerdote, la sua verginità non appartiene a nessun Dio!”
Ulisse si era già voltato per andarsene, quando una voce gli fece nuovamente volgere il capo verso il campo dei Mirmidoni.
Il fulcro del suo discorso con Achille era davanti ai suoi occhi, bello e splendente, come solo un ragazzo a metà strada tra la giovinezza e l’età adulta può essere.
Il volto perennemente illuminato dal sorriso, i lunghi capelli biondi, così simili a quelli del cugino, tutta la sua figura sembrava fatta unicamente per il piacere, non per la guerra.
Lo aveva visto molte altre volte, a Ftia, mentre cercava di convincere Achille a prendere parte a quella guerra, scatenata con il pretesto del tradimento di Elena, e dalla prima volta era rimasto colpito dal fuoco che ardeva in lui.
Scosse la testa e riprese la strada per arrivare alle tende dove gli Itacesi lo stavano aspettando; una cosa era far ingelosire Achille, un’altra, molto più folle era sfidare apertamente l’ira di un Semidio.
Achille seguì con lo sguardo quello di Ulisse e comprese il motivo del suo improvviso arrestarsi. Su una duna, appena sopra la sua tenda Patroclo stava parlando con Euridemo. Il signore dei Mirmidoni entrò nel suo alloggio senza una parola, incurante del cenno di saluto di Patroclo.
“Mio Re, siete riuscito a convincere il Divo Achille?”
“No, ha preso la sua decisione, e tutti noi sappiamo quanto difficile sia fargli cambiare idea. E’ stato offeso da un uomo di cui non riconosce l’autorità, da qualcuno che considera vile e privo di onore… non combatterà finché l’onta non sarà lavata…”
“Ma senza di lui il nostro esercito…”
“Senza di lui non siamo niente, senza i suoi Mirmidoni non saremo in grado di superare neppure la prima linea delle truppe troiane. Questo la sappiamo bene io, tu, Achille e lo stesso Ettore, il solo che sembra ignorarlo è Agamennone!”
“Che cosa possiamo fare mio signore?”
“Sperare che qualcuno riesca a convincerlo a mettere da parte la sua faida personale!”
“Ma chi? Chi potrà farlo se perfino voi non siete riuscito?”
Ulisse non rispose alla domanda… perché in fin dei conti forse ancora non esisteva una risposta.
Nella tenda Achille si comportava come un leone in gabbia, le parole di Ulisse si sposavano nella sua mente con il comportamento che il Laertide aveva tenuto dal primo istante in cui i suoi occhi si erano posati su Patroclo.
L’infrangersi del vasellame copriva i rumori della notte che stava scendendo velocemente; il crepitio del fuoco nei bracieri, le voci degli uomini intenti a cenare.
Achille si lasciò cadere sul proprio giaciglio, prendendosi la testa tra le mani, e per la prima dopo molto tempo si trovò a sperare in una visita della madre, in un suo segno.
Teti piede d’argento come molti uomini la chiamavano, gli aveva già vaticinato che prima o poi sarebbe giunto per lui il momento di guardare a Patroclo con occhi diversi da quelli di un tutore.
Aveva obliato le sue parole, aveva permesso che nei lunghi anni trascorsi dal momento in cui avevano avuto quella conversazione, il suo significato si perdesse nella sua mente, fino a quel momento.
“Achille, figlio mio, ti prendi cura di Patroclo come se fosse un fratello per te…un figlio quasi, l’unico che il fato ti permetterà di avere… questo è il prezzo della decisione che hai preso… ma non è di questo che voglio parlarti adesso.
Arriverà un tempo in cui i tuoi sentimenti per lui cambieranno, arriverà un tempo in cui i suoi occhi non si rivolgeranno più a te come quelli di una creatura adorante davanti a qualcosa di irraggiungibile, e allora dovrai prendere una nuova decisione, e sarà per te assai più ardua di qualunque scelta tu abbia fatto fino a quel momento.
Temerai, per la prima volta nella tua vita avrai un vero e proprio terrore del tuo futuro… le donne che hai avuto le hai dimenticate, terreno di conquista per te e per molti altri, ma Patroclo… con lui tutto sarà diverso, con lui tutto ti sembrerà più complesso e pericoloso… con lui proverai la paura di perdere qualcuno di importante… tramite lui conoscerai il doloroso morso della gelosia…”
Un sorriso triste si dipinse sul suo volto. Anche quella volta sua madre non si era sbagliata, la sua previsione si era avverata perfettamente.
La sua discendenza da uno degli dei più antichi che si potessero ricordare era stata ancora una volta frutto di conoscenza e dolore per lei e per il figlio.
Figlia di Nereo, il vecchio del mare la Dea aveva saputo fin da quando aveva concepito Achille che lo avrebbe perso prematuramente, e che la breve vita della sua creatura non sarebbe stata sempre priva di ansia.
“Gli uomini non hanno il coraggio di avvicinarsi alla sua tenda!”
“Deve pur mangiare!”
“Io starei attento giovane Patroclo fossi in te, quando è in questo stato è temibile anche per le persone che ama. Non si rende conto di quello…”
“Conosco mio cugino meglio di voi!”
Le sue parole erano state dure e taglienti, piene di rabbia, contro il soldato che aveva appena parlato mancando così evidentemente di rispetto al proprio signore, ma erano vere, lui non temeva Achille, aveva visto la sua ira altre volte, e mai l’uomo era arrivato a fargli del male.
Patroclo scostò il velo che copriva l’entrata della tenda di Achille e la prima cosa che vide fu lo stato di caos in cui si trovava quel luogo.
“Vattene, lascia questa tenda Patroclo e dì agli uomini di non avvicinarsi fino ad un mio nuovo ordine!”
Patroclo posò il vassoio che portava accanto al cugino senza dire una parola, semplicemente guardandolo.
“Vai ora, non mi piace ripetere i miei ordini!”
Con un cenno del capo Patroclo lasciò il cugino ai suoi pensieri.
Il ragazzo non sapeva che cosa fare, poteva accettare la decisione del cugino, anche se con molta fatica. Sapeva che in qualche modo Agamennone lo aveva offeso, spingendolo apertamente alla ribellione, sfidando la sua ira solo per far vedere a tutti gli altri re greci chi fosse il Comandante Supremo di quella spedizione militare, chi fosse il Re dei re, ma quello che aveva visto negli occhi del cugino poco prima non aveva niente a che fare con Agamennone e la presa di Troia, non aveva niente a che fare con la schiava troiana che il Re aveva reclamato come propria… e c’era una sola persona che potesse spiegargli una volta per tutte che cosa era accaduto.
Si diresse velocemente verso l’accampamento del signore di Itaca, deciso a parlare con lui quella sera stessa.
“Mio signore, un giovane guerriero vi vuole parlare!”
Ulisse alzò gli occhi dal rotolo di papiro che stava leggendo alla luce del braciere che ardeva nella sua tenda, non riusciva a immaginare chi volesse parlargli a quell’ora.
“Sai chi è?”
“Non è uno dei nostri uomini… è un Mirmidone… Patroclo mi pare si chiami!”
Patroclo? Che cosa voleva il ragazzo da lui? E a quell’ora poi. Un sorriso gli fece piegare per un attimo gli angoli della bocca. Si immaginava la faccia di Achille se avesse assistito alla scena.
“Fallo passare, sarò lieto di accoglierlo!”
Dopo pochi istanti l’ingresso della tenda fu aperto e le fiamme illuminarono la figura ancora ferma, in attesa di un invito per potersi muovere.
“Vieni avanti Patroclo, siediti vicino al fuoco…ammetto di non aspettare la tua visita!”
“Lo so signore di Itaca, e vi chiedo di perdonarmi, ma c’è qualcosa di cui ho urgenza di parlare con voi, e non potevo attendere l’alba per farlo!”
“Abbandona la formalità ragazzo, sono amico di tuo cugino e conoscevo i tuoi genitori, nessuno ci può sentire adesso, dunque non vedo ostacoli al comportarci da amici!”
Patroclo annuì mentre prendeva posto accanto a lui.
“Allora, le tue parole mi hanno incuriosito, e questa è una cosa che non capita molto spesso!”
“Io…io vi…ti ho visto parlare con Achille questo pomeriggio… e mi chiedevo se tu non fossi in grado di dirmi che cosa gli sta succedendo in questo periodo!”
Aveva parlato senza alzare gli occhi da terra, intento a non tradire niente dei sentimenti che in quel momento stavano agitando il suo animo.
“Non credo che sia niente di grave Patroclo, evidentemente la lite con…”
“No, sappiamo bene entrambi che questo non c’entra… Non sono uno sciocco Ulisse, non trattarmi come tale!”
Ulisse dovette ammettere a se stesso di aver sottovalutato il ragazzo e la conoscenza che doveva avere dell’animo del cugino.
“Euridemo!”
La voce di Achille era stata chiara nella notte alle orecchie del soldato che stava montando la guardia.
“Dimmi mio signore!”
“Dov’è Patroclo?”
L’uomo ebbe un istante di esitazione prima di rispondere alla domanda.
“Dopo… dopo che ti ha portato la cena si è allontanato dal campo, e non è ancora tornato…”
Gi occhi di Achille saettarono come se Zeus stesso si fosse impadronito del suo corpo.
“Quando sarà di ritorno digli che lo aspetto nella mia tenda!”
“Tuo cugino mio giovane amico deve decidere se agire secondo la sua mente o secondo ciò che il suo cuore e il suo corpo desiderano!”
“Achille non ha mai avuto problemi a prendere una decisione del genere!”
“In questo momento le cose sono cambiate, sa che il tempo che gli è stato concesso per decidere sta scadendo, e che dopo questo termine non avrà altre possibilità!”
“Nessuno può dare ordini ad Achille, questo lo sai bene Ulisse!”
“Zeus altitonante può farlo mio giovane amico, imparerai che anche lui deve sottostare al volere degli Dei, lui che è più simile a loro di tutti noi, e imparerai che il Dio più temibile è Venere, capace di accendere il desiderio e di spezzare anche le resistenze più strenue!”
“Le tue parole sono oscure signore di Itaca… prima parli di Zeus e poi ti rivolgi a Venere… quale dei due Numi sta tormentando Achille?”
“Zeus è il signore degli Dei, a cui tutti devono sottostare, ma questo non vuol dire che non possa concedere quello che i suoi figli gli chiedono. Lui ha concesso tempo ad Achille, ma Venere, una delle sue figlie predilette ha chiesto che questo tempo giunga a fine per poter finalmente governare la vita di tuo cugino come non è riuscita a fare fino a questo momento!”
“Achille è più forte delle trame d’amore intessute da una Dea!”
“Ma la Dea non risveglia solo l’amore, a chi non accetta di abbracciarla e riverirla scaglia addosso il suo servo più micidiale…la gelosia mio giovane Patroclo, se non l’amore guideranno le azioni di Achille!”
“Nessuna donna rifiuterebbe il suo amore…Venere non ha armi contro di lui!”
“E se non stessimo parlando di una donna? Di una facile preda da conquistare e abbandonare subito dopo? Se stessimo parlando di qualcuno già presente nella vita di Achille che tuo cugino non vuole e non può perdere?”
La confusione negli occhi di Patroclo era più che evidente.
“Sei ancora giovane Patroclo, ci sono cose che ancora ignori, e tra queste c’è l’amore… il desiderio che la sola vista dell’oggetto dei nostri pensieri può accendere in noi… il bisogno di averlo accanto ogni istante… di possederlo infine Patroclo…di possedere il suo corpo oltre che il suo cuore…”
Ulisse arrestò le sue parole. Non era compito suo proseguire quel gioco, non era più il tempo delle parole per il giovane che era seduto accanto a lui.
Era giunto infine il momento dei fatti, e a quel punto lui poteva solo mettersi da un lato e osservare.
Patroclo alzò il volto, e trovò gli occhi di Ulisse stranamente vicini ai propri, i loro volti erano a una distanza così insignificante che potevano sentire i propri respiri unirsi e accarezzarsi.
Prima che la ragione urlasse ad Ulisse di allontanarsi da quella strana creatura le loro bocche si trovarono unite.
Ulisse non aveva mai goduto di niente di simile, il sapore di Patroclo era quello del sole, del grano maturo, dei fiori e dall’aria di mare.
Afferrò il volto del giovane con entrambe le mani e approfondì quello che stava facendo.
La sua lingua premette dolcemente sulle labbra di Patroclo, fino a che queste non si schiusero per consentirgli l’accesso alla sua bocca perfetta.
Quando finalmente incontrò quella del giovane cominciò ad accarezzarla sinuosamente, succhiandola e assaporandola.
Il bacio fu lungo ed intenso, mentre i loro sapori si mischiavano e si fondevano tra loro, creando qualcosa di proibito ed eccitante.
Si staccarono quando entrambi ebbero bisogno di respirare, ma l’itacese non lasciò il volto del ragazzo.
“Ho appena rubato qualcosa che non doveva essere mio, ma non lo rimpiango… non posso rimpiangerlo…”
Avrebbe voluto aggiungere altro, ma ogni parola sarebbe stata superflua.
Quello che era appena avvenuto non sarebbe accaduto mai più, quello era il suo Fato, arrivare a sfiorare appena qualcosa di prezioso, ma sapere che sarebbe stato un altro a prenderlo completamente.
Patroclo pose le mani su quelle di Ulisse e lentamente le allontanò dal suo volto, ma prima di andarsene posò un bacio leggero su esse.
Un addio era celato in quel gesto.
Uscì dalla tenda con un ultimo cenno di saluto, mentre lo sguardo di Ulisse non lasciò per un istante la sua figura che si stava allontanando.
Una volta solo ripensò all’intensità del bacio che aveva appena scambiato con il ragazzo, al suo sapore e nuovamente si trovò a maledire gli Dei. Non era la prima volta che lo faceva, e in quel frangente si sentiva più autorizzato che mai a farlo.
Achille aveva dimostrato per l’ennesima volta di essere il più amato dalla fortuna tra tutti loro; oltre alla gloria e alla fama tra le genti aveva anche l’amore di quella creatura stupenda che era Patroclo, anche se forse il giovane non era del tutto consapevole dei suoi sentimenti.
“Patroclo, Achille desidera vederti immediatamente, ti attende nella sua tenda!”
Il ragazzo era appena tornato all’accampamento quando Euridemo lo aveva avvertito dei desideri del cugino. Non riusciva a immaginare che cosa avesse Achille da dirgli di tanto urgente da non poter aspettare solo poche ore.
Entrò lentamente nella tenda, lasciando che questa si richiudesse alle sue spalle. Achille era sul suo giaciglio, con le gambe incrociate e le mani a reggere il mento. Sembrava assorto in pensieri lontani e misteriosi.
Patroclo stava per parlare quando la voce del signore dei Mirmidoni ruppe il silenzio della notte.
“Dove sei stato?”
Tutto il ragazzo si era spettato tranne che una domanda del genere e per un istante non seppe che cosa rispondere, come non seppe riconoscere il tono con cui la domanda era stata posta.
“Ti ho fatto una domanda Patroclo e non intendo ripeterla…”
Adesso c’era sicuramente rabbia nella voce di Achille.
“Sono… sono stato da Ulisse!”
La testa di Achille scattò e in un istante Patroclo si trovò sotto l’esame di occhi che non sembravano umani. Le profondità marine in tempesta sembravano albergare in quello sguardo.
“Da Ulisse? E che cosa avevate da fare tu e il signore di Itaca a quest’ora della notte?”
Patroclo non si accorse del fatto che Achille si fosse alzato se non quando sentì le mani del cugino stringere dolorosamente le sue braccia.
Chiuse gli occhi lasciando che una smorfia di dolore si disegnasse sul suo volto.
Achille sapeva che gli stava facendo male, conosceva il cugino meglio di chiunque altro, conosceva i limiti che il suo corpo poteva raggiungere e sopportare, ma soprattutto era consapevole della propria forza, superiore a qualunque altro essere umano.
“A… Achille mi stai…”
“RISPONDIMI PATROCLO!”
La sua voce era stata acciaio fuso che scorre sulla carne umana, bruciandola e marchiandola per sempre.
Fu allora, mentre la luce della luna illuminava fiocamente il punto della tenda dove si trovavano che Achille vide un piccolissimo segno sul labbro del cugino, come se qualcuno lo avesse morso, anche se delicatamente.
Una furia cieca si impossessò di lui, la stessa che una volta lo aveva portato a ribellarsi al suo maestro Chirone, la stessa che spaventava suo padre e che allarmava sua madre.
La rabbia si risvegliò in lui, e con essa il desiderio ignorato per mesi… le parole e le azioni di Ulisse… l’immagine del corpo nudo di Patroclo tendersi sotto le spinte di Odisseo, la sua bocca unita a quella del signore di Itaca, liberarsi solo per implorare l’uomo di non smettere… solo per pregare per avere di più… La gelosia…
Lo spinse con forza sul suo giaciglio.
Patroclo cercò di capire che cosa stesse succedendo, di rimettersi in piedi per chiedere spiegazioni, ma Achille era già accanto a lui, inginocchiato sulle pelli e per la prima volta Patroclo ne ebbe terrore.
Niente nella creatura che aveva accanto poteva far credere che fosse la stessa persona che lo consolava a Ftia quando il ricordo dei genitori era semplicemente troppo forte.
“Achille cosa…”
Lo schiaffo che ricevette fu talmente violento da costringerlo a reclinare il volto, mentre i capelli gli ricadevano davanti agli occhi.
“Taci… non voglio sentirti parlare…”
Il sapore del suo stesso sangue riempì la bocca del ragazzo. Un rivo rosso stava scendendo dal labbro spaccato fino al mento, una traccia che Achille non poteva non seguire.
Patroclo fu costretto a guardare negli occhi il cugino nuovamente quando questi gli afferrò il mento; una nuova fitta di dolore si accese nel suo corpo.
Lo baciò, con ira, divorando quella bocca che da lungo tempo desiderava, mordendo le labbra ostinatamente serrate, costringendole ad aprirsi alla sua lingua.
Patroclo cercò di liberarsi da quell’assalto, non era così che doveva andare, non era così che aveva immaginato quella scena.
Ulisse, un uomo che per lui non rappresentava niente all’infuori di un amico, lo aveva baciato con dolcezza e dedizione, mentre Achille… Achille lo stava forzando ad un atto privo di qualunque sentimento.
Il cugino aveva lasciato libera la sua bocca, scendendo lungo il collo diafano, mordendo e succhiando, mentre il ragazzo cercava disperatamente di liberarsi.
“Smettila… lasciami andare…”
Nuovamente le sue parole furono interrotte. Achille lo aveva costretto a sdraiarsi, imprigionandolo con il proprio corpo, poteva sentire il fiato caldo del cugino accarezzargli la pelle, mentre le labbra erano premute al suo orecchio.
“Ti ho detto che non voglio sentirti parlare Patroclo…”
I denti di Achille afferrarono il lobo con cattiveria, strappando a Patroclo un gemito di dolore.
E’ questo? E’ questo quello che avete fatto Patroclo? Oppure Ulisse con te è stato gentile e premuroso?
Il ragazzo cercò disperatamente di scostare il cugino, premendo le mani sul petto dell’uomo, ma immediatamente i suoi polsi furono afferrati e sollevati sopra la testa.
Adesso Achille era disteso su di lui, in una posizione che lasciava poco spazio al fraintendimento.
Il corpo di Patroclo tremava, ma questo non fermò Achille… lentamente, inesorabilmente, passò a tenere i polsi del cugino con una sola mano, aumentando la stretta, avvertendolo con quel gesto di non abusare ulteriormente della sua pazienza, di non tentare neppure di liberarsi.
Con la mano libera scese sul fianco del ragazzo, sfiorandolo appena con la punta delle dita, fino ad arrivare all’orlo della veste che portava… un peplo, un semplice peplo di lino scuro, talmente leggero da lasciare poco all’immaginazione.
Risalì la gambe, questa volta facendo scorrere la mano aperta, vogliosa sulla pelle calda, appena ricoperta dal sudore.
Si fermò, per un istante, sfiorando la pelle delicata del pube, e lo guardò, guardò quegli occhi nocciola improvvisamente spalancati.
Patroclo scosse la testa impercettibilmente, mentre una preghiera era chiaramente leggibile nel suo sguardo.
Distolse gli occhi velocemente e strappò la stoffa con forza.
Quegli occhi, che a Ftia lo guardavano adoranti… quel corpo, tremante sotto il suo, quel dannato corpo che lo stava facendo impazzire… tutto in Patroclo aveva risvegliato in lui un’eccitazione che raramente ricordava di aver provato.
Senza attendere altro, si spinse in lui, perdendosi nel calore della sua carne bollente, nella sensazione del sangue che presto bagnò il suo sesso facilitando le sue spinte.
Il grido di Patroclo fu soffocato dalla mano di Achille che aveva abbandonato la presa sui polsi, ormai inutile.
Il dolore era insopportabile… tutto, tutto si era spettato, ma non quello, non una violenza da parte di Achille, di suo cugino, della persona che amava.
Sentiva il sangue scorrere sulla sua pelle bianca, il corpo di Achille, imponente, rischiare di soffocarlo, mentre la sua virilità lo stava lentamente uccidendo, mentre ad ogni spinta, data con rabbia, con lo stesso furore che lo contraddistingueva in battaglia, urlava la sua proprietà sul suo corpo, mentre lo prendeva come se avesse dovuto piegare un nemico fiero e indomabile, senza neppure rendersi conto che era una cosa già sua che stava conquistando.
Achille si liberò nel corpo del ragazzo, perdendosi in quella sensazione, mentre il pianto di Patroclo era diventato un singulto… uscì da lui, e rimase immobile, senza veramente vedere il corpo accanto al suo che si rannicchiava lentamente su se stesso, portando le gambe al petto, con gli occhi chiusi, per non vedere niente di quello che lo circondava.
Se avesse potuto si sarebbe alzato e sarebbe fuggito da quella tenda, ma non era in grado di muoversi… non avrebbe fatto che pochi passi in quello stato.
Invocò gli dei affinché gli donassero almeno di poter fuggire da quella realtà,anche se per poco, e misericordioso l’Oblio lo accolse.
La luce che filtrava dall’apertura della tenda avvertì Achille che il sole era sorto. Si coprì gli occhi con una mano, cercando di schiarirsi le idee e di spiegarsi il calore che sentiva accanto a sé.
Ricordava vagamente di aver avuto un attacco d’ira la notte precedente, stranamente forte, ma non ricordava…
Velocemente aprì gli occhi e si voltò, solo per rimpiangere il gesto nello stesso istante in cui il suo sguardo si posò sul corpo di Patroclo, disteso su un fianco…sul suo volto, dove i segni delle lacrime erano riconoscibili…e sul sangue che ancora deturpava il chiarore della pelle, quella pelle così inusuale per un greco, ereditata da una madre che neppure ricordava se non tramite i racconti di Teti.
In un istante tutto quello che aveva fatto la notte precedente lo assalì… tutto quello che aveva fatto a Patroclo, tutte le volte che il cugino lo aveva pregato di fermarsi… il suo grido di dolore quando era affondato nel suo corpo troppo stretto… il corpo di una creatura vergine…
Scosse la testa violentemente per cercare di allontanare le lacrime, non era quello il momento di piangere come un bambino, le sue lacrime non avrebbero risolto niente, e certo non avrebbero ripagato il dolore di Patroclo.
Coprì il cugino prima di chiamare Euridemo.
“Dimmi mio signore…”
Non era abitudine dell’uomo far vagare lo sguardo per la tenda del suo signore, ma anche senza guardare era perfettamente in grado di dire che in quella tenda era successo qualcosa che aveva colpito il comandante dei Mirmidoni forse più di quando avrebbe potuto fare la lancia di Ettore.
“Portami dell’acqua calda…immediatamente!”
Il tono imperioso non ammetteva repliche e il soldato si allontanò con un inchino, per tornare poco dopo, con quello che gli era stato chiesto.
Achille non si era mosso, impedendo con il suo corpo la vista del giaciglio e di chiunque vi fosse adagiato sopra.
Achille immerse un panno bianco nell’acqua e si inginocchiò accanto al cugino… rimase un istante immobile, poi cominciò a passare il panno sul suo volto, con una delicatezza che non gli era mai stata propria, ma che in quel momento sentiva necessaria.
Patroclo mosse gli angoli della bocca quando il cugino passò sul taglio sul labbro, portando via anche l’alone rossastro del sangue che ricordava di aver leccato immediatamente dopo averlo schiaffeggiato.
Quel ricordo mandò un’ondata di calore al suo ventre e lo fece vergognare di se stesso, in quel momento era veramente il guerriero empio e scellerato che tutti i suoi nemici avevano sempre visto in lui…aveva risparmiato la vita a Ettore, il suo nemico, ma non aveva esitato neppure per un istante a violentare il suo stesso cugino e come se questo non fosse sufficiente a renderlo inviso agli occhi degli dei, il ricordo di quello che aveva fatto lo eccitava invece che spingerlo a uscire da quella tenda e cercare la morte.
Immerse nuovamente il panno nell’acqua e passò a detergere le gambe del ragazzo, ma nuovamente fu costretto a fermarsi non appena giunto alle cosce.
Passò la stoffa su quella parte del corpo ancora addormentato e fissò il candore del lino macchiarsi di rosso, mentre il sangue che fino a quel momento aveva macchiato Patroclo veniva bevuto con avidità da quelle fibre.
Per la terza volta portò il panno alla bacinella e aspettò… non sapeva neppure lui cosa.
Dopo averlo ripreso si avvicinò lentamente a Patroclo e lasciò che le sue dita, coperte dal lino passassero sulle natiche del ragazzo, fino alla piccola apertura tra esse.
Fu allora che il ragazzo spalancò gli occhi, nel momento in cui sentì nuovamente la sua intimità toccata.
Lo sguardo del cugino ferì Achille più di quanto non avrebbe potuto fare un fulmine di Zeus.
Terrore, puro terrore negli occhi di colui che avrebbe dovuto e voluto proteggere.
Achille abbassò lo sguardo ma non lasciò ciò che stava facendo, fino a che l’ultima traccia di sangue non fu sparita dal corpo di Patroclo.
Il silenzio nella tenda era rotto solo dal loro respiro.
Achille fece cadere nuovamente il panno nell’acqua e aspettò, che il primo a muoversi fosse Patroclo, che il primo a parlare, anche solo per maledirlo fosse il ragazzo…
Lentamente intanto gli occhi di Patroclo stavano tornando normali, mentre la paura li abbandonava.
“Come… come stai?”
Achille rimase immobile, guardando il cugino e chiedendosi se non fosse completamente impazzito, poi ricordò; a Ftia era stato preda di uno dei suo attacchi d’ira davanti al cugino, e Teti aveva cercato di spiegare a quello che era ancora un bambino che era a causa della sua doppia natura che a volte Achille perdeva il controllo, quando la sua parte divina entrava in conflitto con quella umana e si ingaggiava una lotta per il predominio che nessuno avrebbe potuto vincere… e che dopo ogni attacco il suo corpo poteva rimanere spossato per giorni.
“Perché… Perché una domanda del genere? Come puoi preoccuparti di come sto io dopo quello che ho fatto? Dovresti odiarmi, maledirmi, implorare gli dei affinché mi donino la giusta punizione per il mio atto…”
Achille era crollato, per la prima nella sua vita le parole uscivano dalle sue labbra senza che potesse fermarle, senza poter indossare quella maschera che sua madre gli aveva insegnato a portare fin da piccolo.
Patroclo si sedette sul giaciglio, stringendo la coperta che aveva trovato accanto a sé e guardò Achille come un suo pari, come un uomo davanti ad un uomo e non più come un ragazzo al cospetto di un Dio.
Stava cominciando a comprendere che in fin dei conti Achille era più umano di quanto tutti avessero mai voluto vedere, e come tutti gli esseri umani aveva avuto un attimo di debolezza.
“Perché?”
Semplice, una domanda chiarissima alla quale Achille aveva il dovere di rispondere.
“Per gelosia…”
Patroclo lo fissò sorpreso e in quel momento le parole di Ulisse gli risuonarono nella mente… era dunque successo… la Dea dell’amore aveva scagliato contro di lui quell’arma infida, la sola che potesse piegare Achille e forse in quel momento Afrodite stava festeggiando quella che credeva essere una vittoria.
Il cugino intanto era crollato in ginocchio, davanti a Patroclo. Adesso i loro occhi erano alla stessa altezza.
“Io ti ho amato per anni, anche se non me ne sono reso che conto che ieri notte…”
Quel verbo aveva colto Patroclo totalmente impreparato, sapeva che non stava mentendo lo sentiva…e si domandò in quell’istante se una cosa che avrebbe potuto allontanarli per sempre non sarebbe invece stata la chiave per arrivare ad un’unione che entrambi desideravano.
“Ma non sapevo che cosa fare, come comportarmi, e ho deciso di cercare di nascondere quello che provavo dietro la mia veste di tutore e cugino, mi sono illuso che mi sarebbe bastato starti accanto senza dirti la verità, ma non aveva messo in conto la tua bellezza Patroclo… non avevo pensato che prima o poi gli occhi di altri si sarebbero posati su di te… e quando questo è accaduto io mi sono sentito morire.
Sapevo che sarebbe arrivato il momento in cui anche in te si sarebbe risvegliato l’istinto, che avresti cominciato a guardarti intorno e ti saresti accorto che altri ti potevano offrire quello che io ero troppo spaventato per darti… e ho compreso che forse, anche se fossi stato tanto coraggioso da dirti la verità tu avresti preferito comunque altri e questo pensiero non potevo sopportarlo…”
Patroclo faceva quasi fatica a seguire le parole e i pensieri di Achille, suo cugino aveva sempre preferito agire piuttosto che parlare e quello che era nascosto dietro le sue parole, la verità che emergeva lentamente… il dolore che traspariva dai suoi occhi e l’amore, evidente e talmente intenso da aver rubato la forza alle tempeste marine…
“E alla fine, quando ho visto come Ulisse ti guardava, quando ho sentito come parlava di te io… io…”
Era troppo, troppo anche per un Semidio… la voce di Achille si ruppe come se fosse stato stanco per oltre ogni misura per continuare e improvvisamente anche il suo sguardo si posò a terra, sconfitto.
“Ci siamo baciati!”
La voce di Patroclo era calma, anche se riusciva a stento a tenere celate le emozioni che in quel momento agitavano il suo cuore.
Achille non sollevò lo sguardo, anche se le parole del cugino lo avevano trafitto, infliggendogli una ferita che non era certo si potesse richiudere.
“Gli chiederò perdono…dunque, come ne chiedo a te, anche se so che non potrete mai concedermelo!”
“Lo dovresti ringraziare, ma non hai niente da farti perdonare dal signore di Itaca!”
Achille non capiva, ma non aveva la forza per parlare, per chiedere una spiegazione alla quale non aveva diritto.
“Lo dovresti ringraziare perché quel bacio mi ha rivelato la verità…”
Questa volta Achille non poté restare nella posizione che aveva tenuto fino a quel momento perché mani gentili gli sollevarono il volto.
Patroclo, il suo Patroclo lo stava guardando con un’espressione dolcissima sul volto, un’espressione che non riusciva a comprendere.
Le sue labbra, insicure e tremanti si posarono su quelle di Achille, mentre i due si scambiavano il loro primo vero bacio.
Quando la sorpresa ebbe lasciato nuovamente posto alla ragione Achille si allontanò dal corpo di Patroclo.
“Cosa…?”
Gli occhi del giovane mostravano in quel momento una fermezza che l’uomo non vi aveva mai scorto.
Si riavvicinò al lui e nuovamente chiuse la distanza tra di loro con un nuovo bacio; questa volta l’iniziale incertezza venne presto soverchiata dalla passione che velocemente si stava risvegliando in loro.
Achille sentì per la prima volta Patroclo sospirare per il piacere che le sue labbra gli stavano donando, lo sentì schiudere le labbra senza essere forzato a farlo e finalmente lo poté assaporare, mentre le loro lingue giocavano lascivamente, accarezzandosi e risvegliandosi fameliche.
Questa volta il bacio fu rotto solo dal bisogno di respirare.
Non parlarono, non avevano bisogno di parole, bastavano i loro sguardi per trasmettere all’uno i desideri dell’altro.
Achille aiutò Patroclo a sollevarsi, cingendogli poi la vita con un braccio e attirandolo a sé. Restarono abbracciati mentre i loro corpi imparavano a conoscersi, mentre scoprivano di essere stati fatti per completarsi a vicenda.
Nuovi baci vennero scambiati, nuove carezze cominciarono a far fremere Patroclo, mentre le mani di Achille percorrevano la sua schiena, accarezzando i muscoli, segnando le vertebre con graffi leggeri.
Patroclo stava baciando il collo del cugino, lasciando che le sue labbra vagassero spinte dalla curiosità, sentendo per la prima volta l’odore della sua pelle, l’odore di Achille.
Lentamente l’uomo lo condusse verso il giaciglio, per fermarsi a poca distanza da esso, aspettando un gesto di assenso del cugino o una sua richiesta di fermarsi.
Patroclo sentì Achille irrigidirsi in attesa, e seppe che quella volta la scelta era sua, che non sarebbe accaduto niente se lui non fosse stato convinto di volerlo.
Mosse la testa in segno affermativo e lasciò che Achille lo guidasse a stendersi, per poi prendere posto sopra di lui, senza gravarlo con il suo peso; anche con questo accorgimento però il Semidio sentì che qualcosa stava cambiando.
Patroclo aveva trattenuto il fiato quando si era trovato nuovamente sdraiato sotto di lui, e il suo corpo stava tremando.
“Lo vuoi veramente Patroclo?”
Lesse mille emozioni in quegli occhi color nocciola e riconobbe le ombre che vi albergavano in quel momento, indicativa di una battaglia che si stava svolgendo nell’animo del cugino.
“Si… è solo che…”
Non riusciva a trovare le parole, non conosceva quali fossero quelle giuste per dare voce a sensazioni che non sapeva definire.
Achille si distese a fianco del ragazzo, senza lasciare per un istante che il legame dei loro occhi si interrompesse.
Patroclo capì quello che il cugino stava facendo e gli sorrise, poi, lentamente, si mise a cavalcioni su di lui. Adesso, senza la sensazione di non potersi muovere se lo avesse voluto, tutto sembrava molto meno oppressivo, e quello che stava per succedere perfettamente naturale tra due persone che avevano finalmente trovato il coraggio di rivelare i propri sentimenti.
Le mani di Achille cominciarono a dedicare le stesse attenzioni che poco prima avevano riservato alla schiena di Patroclo al suo petto, le dita sottili si soffermarono a lungo a giocare con i suoi capezzoli mandando brividi per tutto il corpo del giovane.
Presto furono le labbra a dedicarsi a quei boccioli scuri, mentre i suoi occhi guardavano il ragazzo che velocemente stava soccombendo al piacere fisico, reclinare la testa all’indietro e cercare affannosamente l’aria che sembrava essere sfuggita dai suoi polmoni.
Le mani dell’uomo scesero nuovamente, fino a raggiungere il sesso del cugino. Lo accarezzò prima lentamente, percorrendolo per tutta la sua lunghezza, lasciando che le sue dita si soffermassero sulla parte più sensibile di esso, e poi via via più velocemente, mentre la tenda veniva riempita dai gemiti di Patroclo che stava scivolando inesorabilmente nel baratro di un piacere che non aveva mai provato.
Quando il ragazzo si liberò nella mano di Achille il suo corpo, come svuotato di ogni energia si accasciò sul petto del cugino, cercando un istante di tregua per poter riappropriarsi delle proprie forze.
Si rialzò solo quando sentì la mano di Achille scivolare dolcemente sul suo fianco fino a raggiungere la parte più intima e nascosta del suo corpo.
Nuovamente il suo corpo si irrigidì, ma questa volta per un solo istante; la sua mente aveva rivissuto il dolore di poche ore prima, ma la sua anima aveva scorto la differenza del tocco di Achille.
Il ragazzo sentì le dita del cugino, ancora bagnate del suo stesso seme, scivolare dentro di lui, con lentezza, senza la minima intenzione di fare del male, solo per donare piacere. Sentì i suoi muscoli rilassarsi sotto le carezze di quelle dita.
Con il passare del tempo, quando ormai la sensazione di fastidio era ormai scomparsa del tutto per lasciare spazio al piacere Patroclo si trovò a desiderare di più.
Proprio mentre stava per dare voce a questo nuovo bisogno sentì le dita di Achille ritrarsi e questa volta fu un sospiro frustrato che scappò dalle sue labbra, facendo sorridere l’uomo.
Achille gli afferrò i fianchi sollevandolo leggermente, guidandolo poi con attenzione fino a che non fu completamente in lui.
Patroclo gemette dolorosamente a quell’intrusione, sentendo la carne rischiare di cedere nuovamente, ma Achille questa volta non si mosse violentemente come aveva fatto prima, rimase immobile, aspettando che il corpo del cugino si fosse abituato alla sua presenza; poi, con dolcezza, cominciò a spingere dentro di lui, lasciando che fosse Patroclo a decidere il ritmo da seguire.
Mai, mai nella sua vita aveva avuto un amante del genere, mai nella sua vita si era sentito completamente parte del proprio compagno, mai aveva provato un piacere così grande, semplicemente guardando un volto stravolto dal piacere sapendo che era lui ad avere quel potere.
Raggiunsero l’apice del piacere insieme, gridando il proprio amore, senza prestare attenzione al fatto che chiunque, passando davanti alla tenda avrebbe potuto sentirli.
Patroclo era completamente privo di forze, e mentre si sdraiava accanto ad Achille, con la testa languidamente appoggiata al suo petto e una gamba, piagata su quelle del cugino, sentiva che il sonno lo stava per cogliere.
Achille lo guardava, ancora incredulo che quella potesse veramente essere la realtà.
“Ti amo…!”
Il sussurro del cugino lo fece riemergere dalle sue riflessioni.
“E io amo te Patroclo, più della mia stessa vita!”
Si strinsero l’uno all’altro e finalmente si abbandonarono al sonno.
“Euridemo, dove posso trovare il tuo signore?”
La vita nel campo dei Mirmidoni scorreva come sempre, senza prestare troppa attenzione a quello che stava accadendo nella tenda di Achille, anche se colore che avevano udito il grido di piacere che da lì era giunto adesso avevano uno strano sorriso sulle labbra.
“Non è ancora uscito dalla sua tenda Signore di Itaca… e non credo che voglia essere disturbato!”
“Temo che in questo momento i suoi voleri debbano essere accantonati Euridemo… Agamennone è disposto a porgere le proprie scuse, ma vuole farlo senza dover perdere la faccia davanti a Nestore e gli altri. Vuole vederlo nella sua tenda…”
“Io…io non credo che sia ugualmente il caso maestà!”
Ulisse stava cominciando a perdere la pazienza e senza aspettare oltre superò l’uomo e si diresse verso la tenda di Achille.
Una volta che ne ebbe sollevato il manto dall’apertura si arrestò davanti alla scena che si presentava ai suoi occhi.
Achille e Patroclo stavano dormendo, persi l’uno nell’altro anche in quel momento. L’espressione di pace sui loro volti e la fierezza con cui Achille stringeva a sé il cugino erano il segno inequivocabile della potenza dei sentimenti che li legava.
Ulisse fece ricadere la stoffa affinché il sole non svegliasse i due dormienti e si allontanò.
“Tornerò più tardi, sperando che si sia svegliato…”
Euridemo non disse niente mentre l’uomo di allontanava in direzione del mare, mentre una lacrima rigava il suo volto.
FINE
ALBA DI PERDONO
“Per gli Dei Achille, adesso smettila…”
Achille si voltò verso l’uomo che aveva parlato guardandolo interrogativamente.
“Sebbene tu sia il solo Re greco al quale io dia ascolto ti sconsiglio di usare questo tono con me, amico mio!”
“Stai agendo come un folle Achille… io ti conosco, conosco il tuo carattere, e non ti ho mai visto comportarti in questo modo!”
“Di cosa stai parlando Ulisse?”
Achille sapeva che il signore di Itaca non si stava affatto riferendo alla sua decisione di non combattere fino a che Agamennone non si fosse mosso dalla sua tenda color porpora per implorarlo di riprendere le armi.
“Di Patroclo, e di che altro? Quale altra creatura ha mai avuto il potere di ridurti in questo stato?”
Patroclo, il suo giovane cugino, l’unico guerriero che non avrebbe mai voluto vedere sulla spiaggia di Troia.
Ftia, Ftia dalle verdi zolle, quello era il luogo per Patroclo, non un campo di battaglia, non l’orrore di una guerra.
Una creatura come lui doveva vedere solo bellezza non distruzione. Troppo innocente, troppo puro per la brutalità del mondo… troppo giovane.
“Achille tutto questo è ridicolo… ti ho visto con lui, a Ftia mentre lo allenavi o mentre passeggiavate insieme a tua madre e ti ho visto qui, mentre cerchi di proteggerlo, mentre lo hai fatto restare sulla nave mentre tu scendevi per primo su queste sponde e per primo le macchiavi con il sangue dei suoi guerrieri. Ti ho visto impossibilitato a combattere quando ti preoccupi per lui, e questa è stata la prima volta che il figlio di Peleo mi è sembrato umano, veramente e completamente!”
“Dì quello che devi dire Odisseo e poi lasciami, non sono più sicuro che la tua compagnia mi sia gradita oggi!”
“Liberati dei tuoi demoni Achille, fallo tuo…al riparo della tua tenda, intrattenendoti con lui in dolci giochi d’amore, o con la forza, su questa spiaggia, ma prendilo… poni fine al tuo tormento!”
Achille lo guardò come se improvvisamente non riconoscesse più l’uomo che aveva chiamato amico.
“Mi stai forse proponendo di usare violenza su di lui? Per chi mi hai preso Ulisse, pensavo mi conoscessi abbastanza per saper che…”
“Che se continuerai a negare ancora a lungo quello che veramente desideri non avrai altra scelta che fargli del male… e poi amico mio… una violenza? Quanto vera sarebbe? Probabilmente avrebbe paura i primi istanti, ma quale vergine non teme e allo stesso tempo attende un momento che è inevitabile?”
“TACI… taci e allontanati da queste tende Ulisse, la tua presenza non è più benaccetta!”
“Ti desidera anche lui Achille, solo non sa che cosa fare… in questi casi ci si aspetta che sia l’amante a sedurre l’amato, ci si aspetta che sia il più grande a guidare il più giovane in qualcosa che uno non conosce ancora, e in cui l’altro è già maestro!”
“Ti ho detto di andartene Ulisse… torna da Agamennone… usa con lui i tuoi giochi, me non osare avvicinarti a me o a…”
“Se tu non lo vuoi Achille, qualcun altro lo avrà al tuo posto… a qualcun altro spetterà il compito di istruirlo nell’amore… è una creatura troppo bella perché ciò non accada, sarebbe un’imperdonabile offesa a Venere lasciarlo intatto… non è un sacerdote, la sua verginità non appartiene a nessun Dio!”
Ulisse si era già voltato per andarsene, quando una voce gli fece nuovamente volgere il capo verso il campo dei Mirmidoni.
Il fulcro del suo discorso con Achille era davanti ai suoi occhi, bello e splendente, come solo un ragazzo a metà strada tra la giovinezza e l’età adulta può essere.
Il volto perennemente illuminato dal sorriso, i lunghi capelli biondi, così simili a quelli del cugino, tutta la sua figura sembrava fatta unicamente per il piacere, non per la guerra.
Lo aveva visto molte altre volte, a Ftia, mentre cercava di convincere Achille a prendere parte a quella guerra, scatenata con il pretesto del tradimento di Elena, e dalla prima volta era rimasto colpito dal fuoco che ardeva in lui.
Scosse la testa e riprese la strada per arrivare alle tende dove gli Itacesi lo stavano aspettando; una cosa era far ingelosire Achille, un’altra, molto più folle era sfidare apertamente l’ira di un Semidio.
Achille seguì con lo sguardo quello di Ulisse e comprese il motivo del suo improvviso arrestarsi. Su una duna, appena sopra la sua tenda Patroclo stava parlando con Euridemo. Il signore dei Mirmidoni entrò nel suo alloggio senza una parola, incurante del cenno di saluto di Patroclo.
“Mio Re, siete riuscito a convincere il Divo Achille?”
“No, ha preso la sua decisione, e tutti noi sappiamo quanto difficile sia fargli cambiare idea. E’ stato offeso da un uomo di cui non riconosce l’autorità, da qualcuno che considera vile e privo di onore… non combatterà finché l’onta non sarà lavata…”
“Ma senza di lui il nostro esercito…”
“Senza di lui non siamo niente, senza i suoi Mirmidoni non saremo in grado di superare neppure la prima linea delle truppe troiane. Questo la sappiamo bene io, tu, Achille e lo stesso Ettore, il solo che sembra ignorarlo è Agamennone!”
“Che cosa possiamo fare mio signore?”
“Sperare che qualcuno riesca a convincerlo a mettere da parte la sua faida personale!”
“Ma chi? Chi potrà farlo se perfino voi non siete riuscito?”
Ulisse non rispose alla domanda… perché in fin dei conti forse ancora non esisteva una risposta.
Nella tenda Achille si comportava come un leone in gabbia, le parole di Ulisse si sposavano nella sua mente con il comportamento che il Laertide aveva tenuto dal primo istante in cui i suoi occhi si erano posati su Patroclo.
L’infrangersi del vasellame copriva i rumori della notte che stava scendendo velocemente; il crepitio del fuoco nei bracieri, le voci degli uomini intenti a cenare.
Achille si lasciò cadere sul proprio giaciglio, prendendosi la testa tra le mani, e per la prima dopo molto tempo si trovò a sperare in una visita della madre, in un suo segno.
Teti piede d’argento come molti uomini la chiamavano, gli aveva già vaticinato che prima o poi sarebbe giunto per lui il momento di guardare a Patroclo con occhi diversi da quelli di un tutore.
Aveva obliato le sue parole, aveva permesso che nei lunghi anni trascorsi dal momento in cui avevano avuto quella conversazione, il suo significato si perdesse nella sua mente, fino a quel momento.
“Achille, figlio mio, ti prendi cura di Patroclo come se fosse un fratello per te…un figlio quasi, l’unico che il fato ti permetterà di avere… questo è il prezzo della decisione che hai preso… ma non è di questo che voglio parlarti adesso.
Arriverà un tempo in cui i tuoi sentimenti per lui cambieranno, arriverà un tempo in cui i suoi occhi non si rivolgeranno più a te come quelli di una creatura adorante davanti a qualcosa di irraggiungibile, e allora dovrai prendere una nuova decisione, e sarà per te assai più ardua di qualunque scelta tu abbia fatto fino a quel momento.
Temerai, per la prima volta nella tua vita avrai un vero e proprio terrore del tuo futuro… le donne che hai avuto le hai dimenticate, terreno di conquista per te e per molti altri, ma Patroclo… con lui tutto sarà diverso, con lui tutto ti sembrerà più complesso e pericoloso… con lui proverai la paura di perdere qualcuno di importante… tramite lui conoscerai il doloroso morso della gelosia…”
Un sorriso triste si dipinse sul suo volto. Anche quella volta sua madre non si era sbagliata, la sua previsione si era avverata perfettamente.
La sua discendenza da uno degli dei più antichi che si potessero ricordare era stata ancora una volta frutto di conoscenza e dolore per lei e per il figlio.
Figlia di Nereo, il vecchio del mare la Dea aveva saputo fin da quando aveva concepito Achille che lo avrebbe perso prematuramente, e che la breve vita della sua creatura non sarebbe stata sempre priva di ansia.
“Gli uomini non hanno il coraggio di avvicinarsi alla sua tenda!”
“Deve pur mangiare!”
“Io starei attento giovane Patroclo fossi in te, quando è in questo stato è temibile anche per le persone che ama. Non si rende conto di quello…”
“Conosco mio cugino meglio di voi!”
Le sue parole erano state dure e taglienti, piene di rabbia, contro il soldato che aveva appena parlato mancando così evidentemente di rispetto al proprio signore, ma erano vere, lui non temeva Achille, aveva visto la sua ira altre volte, e mai l’uomo era arrivato a fargli del male.
Patroclo scostò il velo che copriva l’entrata della tenda di Achille e la prima cosa che vide fu lo stato di caos in cui si trovava quel luogo.
“Vattene, lascia questa tenda Patroclo e dì agli uomini di non avvicinarsi fino ad un mio nuovo ordine!”
Patroclo posò il vassoio che portava accanto al cugino senza dire una parola, semplicemente guardandolo.
“Vai ora, non mi piace ripetere i miei ordini!”
Con un cenno del capo Patroclo lasciò il cugino ai suoi pensieri.
Il ragazzo non sapeva che cosa fare, poteva accettare la decisione del cugino, anche se con molta fatica. Sapeva che in qualche modo Agamennone lo aveva offeso, spingendolo apertamente alla ribellione, sfidando la sua ira solo per far vedere a tutti gli altri re greci chi fosse il Comandante Supremo di quella spedizione militare, chi fosse il Re dei re, ma quello che aveva visto negli occhi del cugino poco prima non aveva niente a che fare con Agamennone e la presa di Troia, non aveva niente a che fare con la schiava troiana che il Re aveva reclamato come propria… e c’era una sola persona che potesse spiegargli una volta per tutte che cosa era accaduto.
Si diresse velocemente verso l’accampamento del signore di Itaca, deciso a parlare con lui quella sera stessa.
“Mio signore, un giovane guerriero vi vuole parlare!”
Ulisse alzò gli occhi dal rotolo di papiro che stava leggendo alla luce del braciere che ardeva nella sua tenda, non riusciva a immaginare chi volesse parlargli a quell’ora.
“Sai chi è?”
“Non è uno dei nostri uomini… è un Mirmidone… Patroclo mi pare si chiami!”
Patroclo? Che cosa voleva il ragazzo da lui? E a quell’ora poi. Un sorriso gli fece piegare per un attimo gli angoli della bocca. Si immaginava la faccia di Achille se avesse assistito alla scena.
“Fallo passare, sarò lieto di accoglierlo!”
Dopo pochi istanti l’ingresso della tenda fu aperto e le fiamme illuminarono la figura ancora ferma, in attesa di un invito per potersi muovere.
“Vieni avanti Patroclo, siediti vicino al fuoco…ammetto di non aspettare la tua visita!”
“Lo so signore di Itaca, e vi chiedo di perdonarmi, ma c’è qualcosa di cui ho urgenza di parlare con voi, e non potevo attendere l’alba per farlo!”
“Abbandona la formalità ragazzo, sono amico di tuo cugino e conoscevo i tuoi genitori, nessuno ci può sentire adesso, dunque non vedo ostacoli al comportarci da amici!”
Patroclo annuì mentre prendeva posto accanto a lui.
“Allora, le tue parole mi hanno incuriosito, e questa è una cosa che non capita molto spesso!”
“Io…io vi…ti ho visto parlare con Achille questo pomeriggio… e mi chiedevo se tu non fossi in grado di dirmi che cosa gli sta succedendo in questo periodo!”
Aveva parlato senza alzare gli occhi da terra, intento a non tradire niente dei sentimenti che in quel momento stavano agitando il suo animo.
“Non credo che sia niente di grave Patroclo, evidentemente la lite con…”
“No, sappiamo bene entrambi che questo non c’entra… Non sono uno sciocco Ulisse, non trattarmi come tale!”
Ulisse dovette ammettere a se stesso di aver sottovalutato il ragazzo e la conoscenza che doveva avere dell’animo del cugino.
“Euridemo!”
La voce di Achille era stata chiara nella notte alle orecchie del soldato che stava montando la guardia.
“Dimmi mio signore!”
“Dov’è Patroclo?”
L’uomo ebbe un istante di esitazione prima di rispondere alla domanda.
“Dopo… dopo che ti ha portato la cena si è allontanato dal campo, e non è ancora tornato…”
Gi occhi di Achille saettarono come se Zeus stesso si fosse impadronito del suo corpo.
“Quando sarà di ritorno digli che lo aspetto nella mia tenda!”
“Tuo cugino mio giovane amico deve decidere se agire secondo la sua mente o secondo ciò che il suo cuore e il suo corpo desiderano!”
“Achille non ha mai avuto problemi a prendere una decisione del genere!”
“In questo momento le cose sono cambiate, sa che il tempo che gli è stato concesso per decidere sta scadendo, e che dopo questo termine non avrà altre possibilità!”
“Nessuno può dare ordini ad Achille, questo lo sai bene Ulisse!”
“Zeus altitonante può farlo mio giovane amico, imparerai che anche lui deve sottostare al volere degli Dei, lui che è più simile a loro di tutti noi, e imparerai che il Dio più temibile è Venere, capace di accendere il desiderio e di spezzare anche le resistenze più strenue!”
“Le tue parole sono oscure signore di Itaca… prima parli di Zeus e poi ti rivolgi a Venere… quale dei due Numi sta tormentando Achille?”
“Zeus è il signore degli Dei, a cui tutti devono sottostare, ma questo non vuol dire che non possa concedere quello che i suoi figli gli chiedono. Lui ha concesso tempo ad Achille, ma Venere, una delle sue figlie predilette ha chiesto che questo tempo giunga a fine per poter finalmente governare la vita di tuo cugino come non è riuscita a fare fino a questo momento!”
“Achille è più forte delle trame d’amore intessute da una Dea!”
“Ma la Dea non risveglia solo l’amore, a chi non accetta di abbracciarla e riverirla scaglia addosso il suo servo più micidiale…la gelosia mio giovane Patroclo, se non l’amore guideranno le azioni di Achille!”
“Nessuna donna rifiuterebbe il suo amore…Venere non ha armi contro di lui!”
“E se non stessimo parlando di una donna? Di una facile preda da conquistare e abbandonare subito dopo? Se stessimo parlando di qualcuno già presente nella vita di Achille che tuo cugino non vuole e non può perdere?”
La confusione negli occhi di Patroclo era più che evidente.
“Sei ancora giovane Patroclo, ci sono cose che ancora ignori, e tra queste c’è l’amore… il desiderio che la sola vista dell’oggetto dei nostri pensieri può accendere in noi… il bisogno di averlo accanto ogni istante… di possederlo infine Patroclo…di possedere il suo corpo oltre che il suo cuore…”
Ulisse arrestò le sue parole. Non era compito suo proseguire quel gioco, non era più il tempo delle parole per il giovane che era seduto accanto a lui.
Era giunto infine il momento dei fatti, e a quel punto lui poteva solo mettersi da un lato e osservare.
Patroclo alzò il volto, e trovò gli occhi di Ulisse stranamente vicini ai propri, i loro volti erano a una distanza così insignificante che potevano sentire i propri respiri unirsi e accarezzarsi.
Prima che la ragione urlasse ad Ulisse di allontanarsi da quella strana creatura le loro bocche si trovarono unite.
Ulisse non aveva mai goduto di niente di simile, il sapore di Patroclo era quello del sole, del grano maturo, dei fiori e dall’aria di mare.
Afferrò il volto del giovane con entrambe le mani e approfondì quello che stava facendo.
La sua lingua premette dolcemente sulle labbra di Patroclo, fino a che queste non si schiusero per consentirgli l’accesso alla sua bocca perfetta.
Quando finalmente incontrò quella del giovane cominciò ad accarezzarla sinuosamente, succhiandola e assaporandola.
Il bacio fu lungo ed intenso, mentre i loro sapori si mischiavano e si fondevano tra loro, creando qualcosa di proibito ed eccitante.
Si staccarono quando entrambi ebbero bisogno di respirare, ma l’itacese non lasciò il volto del ragazzo.
“Ho appena rubato qualcosa che non doveva essere mio, ma non lo rimpiango… non posso rimpiangerlo…”
Avrebbe voluto aggiungere altro, ma ogni parola sarebbe stata superflua.
Quello che era appena avvenuto non sarebbe accaduto mai più, quello era il suo Fato, arrivare a sfiorare appena qualcosa di prezioso, ma sapere che sarebbe stato un altro a prenderlo completamente.
Patroclo pose le mani su quelle di Ulisse e lentamente le allontanò dal suo volto, ma prima di andarsene posò un bacio leggero su esse.
Un addio era celato in quel gesto.
Uscì dalla tenda con un ultimo cenno di saluto, mentre lo sguardo di Ulisse non lasciò per un istante la sua figura che si stava allontanando.
Una volta solo ripensò all’intensità del bacio che aveva appena scambiato con il ragazzo, al suo sapore e nuovamente si trovò a maledire gli Dei. Non era la prima volta che lo faceva, e in quel frangente si sentiva più autorizzato che mai a farlo.
Achille aveva dimostrato per l’ennesima volta di essere il più amato dalla fortuna tra tutti loro; oltre alla gloria e alla fama tra le genti aveva anche l’amore di quella creatura stupenda che era Patroclo, anche se forse il giovane non era del tutto consapevole dei suoi sentimenti.
“Patroclo, Achille desidera vederti immediatamente, ti attende nella sua tenda!”
Il ragazzo era appena tornato all’accampamento quando Euridemo lo aveva avvertito dei desideri del cugino. Non riusciva a immaginare che cosa avesse Achille da dirgli di tanto urgente da non poter aspettare solo poche ore.
Entrò lentamente nella tenda, lasciando che questa si richiudesse alle sue spalle. Achille era sul suo giaciglio, con le gambe incrociate e le mani a reggere il mento. Sembrava assorto in pensieri lontani e misteriosi.
Patroclo stava per parlare quando la voce del signore dei Mirmidoni ruppe il silenzio della notte.
“Dove sei stato?”
Tutto il ragazzo si era spettato tranne che una domanda del genere e per un istante non seppe che cosa rispondere, come non seppe riconoscere il tono con cui la domanda era stata posta.
“Ti ho fatto una domanda Patroclo e non intendo ripeterla…”
Adesso c’era sicuramente rabbia nella voce di Achille.
“Sono… sono stato da Ulisse!”
La testa di Achille scattò e in un istante Patroclo si trovò sotto l’esame di occhi che non sembravano umani. Le profondità marine in tempesta sembravano albergare in quello sguardo.
“Da Ulisse? E che cosa avevate da fare tu e il signore di Itaca a quest’ora della notte?”
Patroclo non si accorse del fatto che Achille si fosse alzato se non quando sentì le mani del cugino stringere dolorosamente le sue braccia.
Chiuse gli occhi lasciando che una smorfia di dolore si disegnasse sul suo volto.
Achille sapeva che gli stava facendo male, conosceva il cugino meglio di chiunque altro, conosceva i limiti che il suo corpo poteva raggiungere e sopportare, ma soprattutto era consapevole della propria forza, superiore a qualunque altro essere umano.
“A… Achille mi stai…”
“RISPONDIMI PATROCLO!”
La sua voce era stata acciaio fuso che scorre sulla carne umana, bruciandola e marchiandola per sempre.
Fu allora, mentre la luce della luna illuminava fiocamente il punto della tenda dove si trovavano che Achille vide un piccolissimo segno sul labbro del cugino, come se qualcuno lo avesse morso, anche se delicatamente.
Una furia cieca si impossessò di lui, la stessa che una volta lo aveva portato a ribellarsi al suo maestro Chirone, la stessa che spaventava suo padre e che allarmava sua madre.
La rabbia si risvegliò in lui, e con essa il desiderio ignorato per mesi… le parole e le azioni di Ulisse… l’immagine del corpo nudo di Patroclo tendersi sotto le spinte di Odisseo, la sua bocca unita a quella del signore di Itaca, liberarsi solo per implorare l’uomo di non smettere… solo per pregare per avere di più… La gelosia…
Lo spinse con forza sul suo giaciglio.
Patroclo cercò di capire che cosa stesse succedendo, di rimettersi in piedi per chiedere spiegazioni, ma Achille era già accanto a lui, inginocchiato sulle pelli e per la prima volta Patroclo ne ebbe terrore.
Niente nella creatura che aveva accanto poteva far credere che fosse la stessa persona che lo consolava a Ftia quando il ricordo dei genitori era semplicemente troppo forte.
“Achille cosa…”
Lo schiaffo che ricevette fu talmente violento da costringerlo a reclinare il volto, mentre i capelli gli ricadevano davanti agli occhi.
“Taci… non voglio sentirti parlare…”
Il sapore del suo stesso sangue riempì la bocca del ragazzo. Un rivo rosso stava scendendo dal labbro spaccato fino al mento, una traccia che Achille non poteva non seguire.
Patroclo fu costretto a guardare negli occhi il cugino nuovamente quando questi gli afferrò il mento; una nuova fitta di dolore si accese nel suo corpo.
Lo baciò, con ira, divorando quella bocca che da lungo tempo desiderava, mordendo le labbra ostinatamente serrate, costringendole ad aprirsi alla sua lingua.
Patroclo cercò di liberarsi da quell’assalto, non era così che doveva andare, non era così che aveva immaginato quella scena.
Ulisse, un uomo che per lui non rappresentava niente all’infuori di un amico, lo aveva baciato con dolcezza e dedizione, mentre Achille… Achille lo stava forzando ad un atto privo di qualunque sentimento.
Il cugino aveva lasciato libera la sua bocca, scendendo lungo il collo diafano, mordendo e succhiando, mentre il ragazzo cercava disperatamente di liberarsi.
“Smettila… lasciami andare…”
Nuovamente le sue parole furono interrotte. Achille lo aveva costretto a sdraiarsi, imprigionandolo con il proprio corpo, poteva sentire il fiato caldo del cugino accarezzargli la pelle, mentre le labbra erano premute al suo orecchio.
“Ti ho detto che non voglio sentirti parlare Patroclo…”
I denti di Achille afferrarono il lobo con cattiveria, strappando a Patroclo un gemito di dolore.
E’ questo? E’ questo quello che avete fatto Patroclo? Oppure Ulisse con te è stato gentile e premuroso?
Il ragazzo cercò disperatamente di scostare il cugino, premendo le mani sul petto dell’uomo, ma immediatamente i suoi polsi furono afferrati e sollevati sopra la testa.
Adesso Achille era disteso su di lui, in una posizione che lasciava poco spazio al fraintendimento.
Il corpo di Patroclo tremava, ma questo non fermò Achille… lentamente, inesorabilmente, passò a tenere i polsi del cugino con una sola mano, aumentando la stretta, avvertendolo con quel gesto di non abusare ulteriormente della sua pazienza, di non tentare neppure di liberarsi.
Con la mano libera scese sul fianco del ragazzo, sfiorandolo appena con la punta delle dita, fino ad arrivare all’orlo della veste che portava… un peplo, un semplice peplo di lino scuro, talmente leggero da lasciare poco all’immaginazione.
Risalì la gambe, questa volta facendo scorrere la mano aperta, vogliosa sulla pelle calda, appena ricoperta dal sudore.
Si fermò, per un istante, sfiorando la pelle delicata del pube, e lo guardò, guardò quegli occhi nocciola improvvisamente spalancati.
Patroclo scosse la testa impercettibilmente, mentre una preghiera era chiaramente leggibile nel suo sguardo.
Distolse gli occhi velocemente e strappò la stoffa con forza.
Quegli occhi, che a Ftia lo guardavano adoranti… quel corpo, tremante sotto il suo, quel dannato corpo che lo stava facendo impazzire… tutto in Patroclo aveva risvegliato in lui un’eccitazione che raramente ricordava di aver provato.
Senza attendere altro, si spinse in lui, perdendosi nel calore della sua carne bollente, nella sensazione del sangue che presto bagnò il suo sesso facilitando le sue spinte.
Il grido di Patroclo fu soffocato dalla mano di Achille che aveva abbandonato la presa sui polsi, ormai inutile.
Il dolore era insopportabile… tutto, tutto si era spettato, ma non quello, non una violenza da parte di Achille, di suo cugino, della persona che amava.
Sentiva il sangue scorrere sulla sua pelle bianca, il corpo di Achille, imponente, rischiare di soffocarlo, mentre la sua virilità lo stava lentamente uccidendo, mentre ad ogni spinta, data con rabbia, con lo stesso furore che lo contraddistingueva in battaglia, urlava la sua proprietà sul suo corpo, mentre lo prendeva come se avesse dovuto piegare un nemico fiero e indomabile, senza neppure rendersi conto che era una cosa già sua che stava conquistando.
Achille si liberò nel corpo del ragazzo, perdendosi in quella sensazione, mentre il pianto di Patroclo era diventato un singulto… uscì da lui, e rimase immobile, senza veramente vedere il corpo accanto al suo che si rannicchiava lentamente su se stesso, portando le gambe al petto, con gli occhi chiusi, per non vedere niente di quello che lo circondava.
Se avesse potuto si sarebbe alzato e sarebbe fuggito da quella tenda, ma non era in grado di muoversi… non avrebbe fatto che pochi passi in quello stato.
Invocò gli dei affinché gli donassero almeno di poter fuggire da quella realtà,anche se per poco, e misericordioso l’Oblio lo accolse.
La luce che filtrava dall’apertura della tenda avvertì Achille che il sole era sorto. Si coprì gli occhi con una mano, cercando di schiarirsi le idee e di spiegarsi il calore che sentiva accanto a sé.
Ricordava vagamente di aver avuto un attacco d’ira la notte precedente, stranamente forte, ma non ricordava…
Velocemente aprì gli occhi e si voltò, solo per rimpiangere il gesto nello stesso istante in cui il suo sguardo si posò sul corpo di Patroclo, disteso su un fianco…sul suo volto, dove i segni delle lacrime erano riconoscibili…e sul sangue che ancora deturpava il chiarore della pelle, quella pelle così inusuale per un greco, ereditata da una madre che neppure ricordava se non tramite i racconti di Teti.
In un istante tutto quello che aveva fatto la notte precedente lo assalì… tutto quello che aveva fatto a Patroclo, tutte le volte che il cugino lo aveva pregato di fermarsi… il suo grido di dolore quando era affondato nel suo corpo troppo stretto… il corpo di una creatura vergine…
Scosse la testa violentemente per cercare di allontanare le lacrime, non era quello il momento di piangere come un bambino, le sue lacrime non avrebbero risolto niente, e certo non avrebbero ripagato il dolore di Patroclo.
Coprì il cugino prima di chiamare Euridemo.
“Dimmi mio signore…”
Non era abitudine dell’uomo far vagare lo sguardo per la tenda del suo signore, ma anche senza guardare era perfettamente in grado di dire che in quella tenda era successo qualcosa che aveva colpito il comandante dei Mirmidoni forse più di quando avrebbe potuto fare la lancia di Ettore.
“Portami dell’acqua calda…immediatamente!”
Il tono imperioso non ammetteva repliche e il soldato si allontanò con un inchino, per tornare poco dopo, con quello che gli era stato chiesto.
Achille non si era mosso, impedendo con il suo corpo la vista del giaciglio e di chiunque vi fosse adagiato sopra.
Achille immerse un panno bianco nell’acqua e si inginocchiò accanto al cugino… rimase un istante immobile, poi cominciò a passare il panno sul suo volto, con una delicatezza che non gli era mai stata propria, ma che in quel momento sentiva necessaria.
Patroclo mosse gli angoli della bocca quando il cugino passò sul taglio sul labbro, portando via anche l’alone rossastro del sangue che ricordava di aver leccato immediatamente dopo averlo schiaffeggiato.
Quel ricordo mandò un’ondata di calore al suo ventre e lo fece vergognare di se stesso, in quel momento era veramente il guerriero empio e scellerato che tutti i suoi nemici avevano sempre visto in lui…aveva risparmiato la vita a Ettore, il suo nemico, ma non aveva esitato neppure per un istante a violentare il suo stesso cugino e come se questo non fosse sufficiente a renderlo inviso agli occhi degli dei, il ricordo di quello che aveva fatto lo eccitava invece che spingerlo a uscire da quella tenda e cercare la morte.
Immerse nuovamente il panno nell’acqua e passò a detergere le gambe del ragazzo, ma nuovamente fu costretto a fermarsi non appena giunto alle cosce.
Passò la stoffa su quella parte del corpo ancora addormentato e fissò il candore del lino macchiarsi di rosso, mentre il sangue che fino a quel momento aveva macchiato Patroclo veniva bevuto con avidità da quelle fibre.
Per la terza volta portò il panno alla bacinella e aspettò… non sapeva neppure lui cosa.
Dopo averlo ripreso si avvicinò lentamente a Patroclo e lasciò che le sue dita, coperte dal lino passassero sulle natiche del ragazzo, fino alla piccola apertura tra esse.
Fu allora che il ragazzo spalancò gli occhi, nel momento in cui sentì nuovamente la sua intimità toccata.
Lo sguardo del cugino ferì Achille più di quanto non avrebbe potuto fare un fulmine di Zeus.
Terrore, puro terrore negli occhi di colui che avrebbe dovuto e voluto proteggere.
Achille abbassò lo sguardo ma non lasciò ciò che stava facendo, fino a che l’ultima traccia di sangue non fu sparita dal corpo di Patroclo.
Il silenzio nella tenda era rotto solo dal loro respiro.
Achille fece cadere nuovamente il panno nell’acqua e aspettò, che il primo a muoversi fosse Patroclo, che il primo a parlare, anche solo per maledirlo fosse il ragazzo…
Lentamente intanto gli occhi di Patroclo stavano tornando normali, mentre la paura li abbandonava.
“Come… come stai?”
Achille rimase immobile, guardando il cugino e chiedendosi se non fosse completamente impazzito, poi ricordò; a Ftia era stato preda di uno dei suo attacchi d’ira davanti al cugino, e Teti aveva cercato di spiegare a quello che era ancora un bambino che era a causa della sua doppia natura che a volte Achille perdeva il controllo, quando la sua parte divina entrava in conflitto con quella umana e si ingaggiava una lotta per il predominio che nessuno avrebbe potuto vincere… e che dopo ogni attacco il suo corpo poteva rimanere spossato per giorni.
“Perché… Perché una domanda del genere? Come puoi preoccuparti di come sto io dopo quello che ho fatto? Dovresti odiarmi, maledirmi, implorare gli dei affinché mi donino la giusta punizione per il mio atto…”
Achille era crollato, per la prima nella sua vita le parole uscivano dalle sue labbra senza che potesse fermarle, senza poter indossare quella maschera che sua madre gli aveva insegnato a portare fin da piccolo.
Patroclo si sedette sul giaciglio, stringendo la coperta che aveva trovato accanto a sé e guardò Achille come un suo pari, come un uomo davanti ad un uomo e non più come un ragazzo al cospetto di un Dio.
Stava cominciando a comprendere che in fin dei conti Achille era più umano di quanto tutti avessero mai voluto vedere, e come tutti gli esseri umani aveva avuto un attimo di debolezza.
“Perché?”
Semplice, una domanda chiarissima alla quale Achille aveva il dovere di rispondere.
“Per gelosia…”
Patroclo lo fissò sorpreso e in quel momento le parole di Ulisse gli risuonarono nella mente… era dunque successo… la Dea dell’amore aveva scagliato contro di lui quell’arma infida, la sola che potesse piegare Achille e forse in quel momento Afrodite stava festeggiando quella che credeva essere una vittoria.
Il cugino intanto era crollato in ginocchio, davanti a Patroclo. Adesso i loro occhi erano alla stessa altezza.
“Io ti ho amato per anni, anche se non me ne sono reso che conto che ieri notte…”
Quel verbo aveva colto Patroclo totalmente impreparato, sapeva che non stava mentendo lo sentiva…e si domandò in quell’istante se una cosa che avrebbe potuto allontanarli per sempre non sarebbe invece stata la chiave per arrivare ad un’unione che entrambi desideravano.
“Ma non sapevo che cosa fare, come comportarmi, e ho deciso di cercare di nascondere quello che provavo dietro la mia veste di tutore e cugino, mi sono illuso che mi sarebbe bastato starti accanto senza dirti la verità, ma non aveva messo in conto la tua bellezza Patroclo… non avevo pensato che prima o poi gli occhi di altri si sarebbero posati su di te… e quando questo è accaduto io mi sono sentito morire.
Sapevo che sarebbe arrivato il momento in cui anche in te si sarebbe risvegliato l’istinto, che avresti cominciato a guardarti intorno e ti saresti accorto che altri ti potevano offrire quello che io ero troppo spaventato per darti… e ho compreso che forse, anche se fossi stato tanto coraggioso da dirti la verità tu avresti preferito comunque altri e questo pensiero non potevo sopportarlo…”
Patroclo faceva quasi fatica a seguire le parole e i pensieri di Achille, suo cugino aveva sempre preferito agire piuttosto che parlare e quello che era nascosto dietro le sue parole, la verità che emergeva lentamente… il dolore che traspariva dai suoi occhi e l’amore, evidente e talmente intenso da aver rubato la forza alle tempeste marine…
“E alla fine, quando ho visto come Ulisse ti guardava, quando ho sentito come parlava di te io… io…”
Era troppo, troppo anche per un Semidio… la voce di Achille si ruppe come se fosse stato stanco per oltre ogni misura per continuare e improvvisamente anche il suo sguardo si posò a terra, sconfitto.
“Ci siamo baciati!”
La voce di Patroclo era calma, anche se riusciva a stento a tenere celate le emozioni che in quel momento agitavano il suo cuore.
Achille non sollevò lo sguardo, anche se le parole del cugino lo avevano trafitto, infliggendogli una ferita che non era certo si potesse richiudere.
“Gli chiederò perdono…dunque, come ne chiedo a te, anche se so che non potrete mai concedermelo!”
“Lo dovresti ringraziare, ma non hai niente da farti perdonare dal signore di Itaca!”
Achille non capiva, ma non aveva la forza per parlare, per chiedere una spiegazione alla quale non aveva diritto.
“Lo dovresti ringraziare perché quel bacio mi ha rivelato la verità…”
Questa volta Achille non poté restare nella posizione che aveva tenuto fino a quel momento perché mani gentili gli sollevarono il volto.
Patroclo, il suo Patroclo lo stava guardando con un’espressione dolcissima sul volto, un’espressione che non riusciva a comprendere.
Le sue labbra, insicure e tremanti si posarono su quelle di Achille, mentre i due si scambiavano il loro primo vero bacio.
Quando la sorpresa ebbe lasciato nuovamente posto alla ragione Achille si allontanò dal corpo di Patroclo.
“Cosa…?”
Gli occhi del giovane mostravano in quel momento una fermezza che l’uomo non vi aveva mai scorto.
Si riavvicinò al lui e nuovamente chiuse la distanza tra di loro con un nuovo bacio; questa volta l’iniziale incertezza venne presto soverchiata dalla passione che velocemente si stava risvegliando in loro.
Achille sentì per la prima volta Patroclo sospirare per il piacere che le sue labbra gli stavano donando, lo sentì schiudere le labbra senza essere forzato a farlo e finalmente lo poté assaporare, mentre le loro lingue giocavano lascivamente, accarezzandosi e risvegliandosi fameliche.
Questa volta il bacio fu rotto solo dal bisogno di respirare.
Non parlarono, non avevano bisogno di parole, bastavano i loro sguardi per trasmettere all’uno i desideri dell’altro.
Achille aiutò Patroclo a sollevarsi, cingendogli poi la vita con un braccio e attirandolo a sé. Restarono abbracciati mentre i loro corpi imparavano a conoscersi, mentre scoprivano di essere stati fatti per completarsi a vicenda.
Nuovi baci vennero scambiati, nuove carezze cominciarono a far fremere Patroclo, mentre le mani di Achille percorrevano la sua schiena, accarezzando i muscoli, segnando le vertebre con graffi leggeri.
Patroclo stava baciando il collo del cugino, lasciando che le sue labbra vagassero spinte dalla curiosità, sentendo per la prima volta l’odore della sua pelle, l’odore di Achille.
Lentamente l’uomo lo condusse verso il giaciglio, per fermarsi a poca distanza da esso, aspettando un gesto di assenso del cugino o una sua richiesta di fermarsi.
Patroclo sentì Achille irrigidirsi in attesa, e seppe che quella volta la scelta era sua, che non sarebbe accaduto niente se lui non fosse stato convinto di volerlo.
Mosse la testa in segno affermativo e lasciò che Achille lo guidasse a stendersi, per poi prendere posto sopra di lui, senza gravarlo con il suo peso; anche con questo accorgimento però il Semidio sentì che qualcosa stava cambiando.
Patroclo aveva trattenuto il fiato quando si era trovato nuovamente sdraiato sotto di lui, e il suo corpo stava tremando.
“Lo vuoi veramente Patroclo?”
Lesse mille emozioni in quegli occhi color nocciola e riconobbe le ombre che vi albergavano in quel momento, indicativa di una battaglia che si stava svolgendo nell’animo del cugino.
“Si… è solo che…”
Non riusciva a trovare le parole, non conosceva quali fossero quelle giuste per dare voce a sensazioni che non sapeva definire.
Achille si distese a fianco del ragazzo, senza lasciare per un istante che il legame dei loro occhi si interrompesse.
Patroclo capì quello che il cugino stava facendo e gli sorrise, poi, lentamente, si mise a cavalcioni su di lui. Adesso, senza la sensazione di non potersi muovere se lo avesse voluto, tutto sembrava molto meno oppressivo, e quello che stava per succedere perfettamente naturale tra due persone che avevano finalmente trovato il coraggio di rivelare i propri sentimenti.
Le mani di Achille cominciarono a dedicare le stesse attenzioni che poco prima avevano riservato alla schiena di Patroclo al suo petto, le dita sottili si soffermarono a lungo a giocare con i suoi capezzoli mandando brividi per tutto il corpo del giovane.
Presto furono le labbra a dedicarsi a quei boccioli scuri, mentre i suoi occhi guardavano il ragazzo che velocemente stava soccombendo al piacere fisico, reclinare la testa all’indietro e cercare affannosamente l’aria che sembrava essere sfuggita dai suoi polmoni.
Le mani dell’uomo scesero nuovamente, fino a raggiungere il sesso del cugino. Lo accarezzò prima lentamente, percorrendolo per tutta la sua lunghezza, lasciando che le sue dita si soffermassero sulla parte più sensibile di esso, e poi via via più velocemente, mentre la tenda veniva riempita dai gemiti di Patroclo che stava scivolando inesorabilmente nel baratro di un piacere che non aveva mai provato.
Quando il ragazzo si liberò nella mano di Achille il suo corpo, come svuotato di ogni energia si accasciò sul petto del cugino, cercando un istante di tregua per poter riappropriarsi delle proprie forze.
Si rialzò solo quando sentì la mano di Achille scivolare dolcemente sul suo fianco fino a raggiungere la parte più intima e nascosta del suo corpo.
Nuovamente il suo corpo si irrigidì, ma questa volta per un solo istante; la sua mente aveva rivissuto il dolore di poche ore prima, ma la sua anima aveva scorto la differenza del tocco di Achille.
Il ragazzo sentì le dita del cugino, ancora bagnate del suo stesso seme, scivolare dentro di lui, con lentezza, senza la minima intenzione di fare del male, solo per donare piacere. Sentì i suoi muscoli rilassarsi sotto le carezze di quelle dita.
Con il passare del tempo, quando ormai la sensazione di fastidio era ormai scomparsa del tutto per lasciare spazio al piacere Patroclo si trovò a desiderare di più.
Proprio mentre stava per dare voce a questo nuovo bisogno sentì le dita di Achille ritrarsi e questa volta fu un sospiro frustrato che scappò dalle sue labbra, facendo sorridere l’uomo.
Achille gli afferrò i fianchi sollevandolo leggermente, guidandolo poi con attenzione fino a che non fu completamente in lui.
Patroclo gemette dolorosamente a quell’intrusione, sentendo la carne rischiare di cedere nuovamente, ma Achille questa volta non si mosse violentemente come aveva fatto prima, rimase immobile, aspettando che il corpo del cugino si fosse abituato alla sua presenza; poi, con dolcezza, cominciò a spingere dentro di lui, lasciando che fosse Patroclo a decidere il ritmo da seguire.
Mai, mai nella sua vita aveva avuto un amante del genere, mai nella sua vita si era sentito completamente parte del proprio compagno, mai aveva provato un piacere così grande, semplicemente guardando un volto stravolto dal piacere sapendo che era lui ad avere quel potere.
Raggiunsero l’apice del piacere insieme, gridando il proprio amore, senza prestare attenzione al fatto che chiunque, passando davanti alla tenda avrebbe potuto sentirli.
Patroclo era completamente privo di forze, e mentre si sdraiava accanto ad Achille, con la testa languidamente appoggiata al suo petto e una gamba, piagata su quelle del cugino, sentiva che il sonno lo stava per cogliere.
Achille lo guardava, ancora incredulo che quella potesse veramente essere la realtà.
“Ti amo…!”
Il sussurro del cugino lo fece riemergere dalle sue riflessioni.
“E io amo te Patroclo, più della mia stessa vita!”
Si strinsero l’uno all’altro e finalmente si abbandonarono al sonno.
“Euridemo, dove posso trovare il tuo signore?”
La vita nel campo dei Mirmidoni scorreva come sempre, senza prestare troppa attenzione a quello che stava accadendo nella tenda di Achille, anche se colore che avevano udito il grido di piacere che da lì era giunto adesso avevano uno strano sorriso sulle labbra.
“Non è ancora uscito dalla sua tenda Signore di Itaca… e non credo che voglia essere disturbato!”
“Temo che in questo momento i suoi voleri debbano essere accantonati Euridemo… Agamennone è disposto a porgere le proprie scuse, ma vuole farlo senza dover perdere la faccia davanti a Nestore e gli altri. Vuole vederlo nella sua tenda…”
“Io…io non credo che sia ugualmente il caso maestà!”
Ulisse stava cominciando a perdere la pazienza e senza aspettare oltre superò l’uomo e si diresse verso la tenda di Achille.
Una volta che ne ebbe sollevato il manto dall’apertura si arrestò davanti alla scena che si presentava ai suoi occhi.
Achille e Patroclo stavano dormendo, persi l’uno nell’altro anche in quel momento. L’espressione di pace sui loro volti e la fierezza con cui Achille stringeva a sé il cugino erano il segno inequivocabile della potenza dei sentimenti che li legava.
Ulisse fece ricadere la stoffa affinché il sole non svegliasse i due dormienti e si allontanò.
“Tornerò più tardi, sperando che si sia svegliato…”
Euridemo non disse niente mentre l’uomo di allontanava in direzione del mare, mentre una lacrima rigava il suo volto.
FINE